Introduzione
Oblivion è uno dei miei giochi preferiti di sempre. Lo è da quando l’ho scoperto, e lo è rimasto anche dopo tutti questi anni, nonostante i suoi difetti siano ormai evidenti.
È un gioco che non si impone, che non ti trascina per la mano, che non ti dice "cosa dovresti fare". Ti lascia libero. Ti fa esistere nel mondo. Ti fa giocare davvero a un gioco di ruolo, nel senso pieno dell’espressione.
A differenza di tanti open world moderni, Oblivion non cerca di assomigliare a un film, non ti stordisce con cutscene o coreografie. Ti dà gli strumenti, ti piazza nel mondo, e ti lascia capire da solo chi vuoi essere lì dentro.
È questo che me lo fa amare ancora oggi. Nonostante abbia combattimenti grezzi, uno scaling dei nemici bizzarro e un loot system che rompe un po’ l’illusione, Oblivion ha un’anima. E non è poco.
Ecco la mia analisi per punti: cosa funziona, cosa no, e con le diffrenze tra Oblivion e gli altri due capitoli più famosi della saga di The Elder Scrolls: Morrowind e Skyrim.
✅ Cosa funziona
Un open world davvero emergente
Oblivion non è solo vasto. È vivo. NPC con routine giornaliere, eventi dinamici, creature che vagano, gilde che si attivano in base a dove sei e cosa hai fatto.
Non tutto è scritto in modo rigido: molte cose succedono semplicemente perché eri nel posto giusto al momento giusto. È un mondo che non gira solo attorno al giocatore, e questo è rarissimo.
Puoi camminare nella foresta e imbatterti in un’imboscata, oppure trovare un tempio abbandonato, o vedere due creature combattere tra loro. Nulla di tutto questo è segnalato sulla mappa. Lo scopri, o non lo scopri. Dipende da te.
E non ci sono decine di marker a guidarti: l’esplorazione è vera, perché puoi perderti. E in Oblivion, perdersi è la cosa giusta da fare.
Sistema di crescita simulativo
Uno dei tratti più unici del gioco: non sali di livello completando quest o uccidendo nemici, ma usando le abilità del tuo personaggio.
Vuoi salire di livello senza mai toccare una spada? Nessun problema. Passa la vita a mercanteggiare, a leggere libri magici, a creare incantesimi. Oblivion ti lascia crescere nel modo in cui vuoi giocare.
Questo rende il gioco più world-driven che quest-driven. Non è la storia a spingerti in avanti, ma la tua interazione con il mondo. Il progresso nasce dal fare, dall’agire dentro al sistema, non dal seguire una sequenza di missioni.
È un approccio che privilegia l’immersione e la libertà rispetto alla progressione guidata. Più usi una skill, più diventi bravo in quella cosa. E il gioco non ti giudica per come scegli di giocare.
Puoi ignorare la main quest e diventare il re dei ladri o il maestro della retorica. Il mondo ti lascia fare. È un RPG che assomiglia più a un sistema vivente che a un percorso narrativo lineare, e questo lo rende ancora oggi un unicum nel suo genere1.
Libertà assoluta fin dall’inizio
Una volta usciti dalle prigioni imperiali, Oblivion ti dice: fai quello che vuoi. Letteralmente.
La main quest può aspettare. Puoi esplorare, cercare gilde, affrontare dungeon o fare il turista a Bravil.
Non c’è nulla che ti imponga una direzione. Non ci sono livelli consigliati, né strade obbligate. Il mondo non è una sequenza, è un territorio.
Questa libertà vera, non quella finta fatta di checklist, è ancora oggi uno dei motivi per cui torno a Oblivion e non ad altri open world più recenti. È il contrario del design paternalistico: è un gioco che si fida di te.
Quest design creativo
Molte delle quest principali delle gilde sono memorabili. Ma anche quelle secondarie, quelle minori, sanno sorprendere.
La Confraternita Oscura, la Gilda dei Ladri, la Gilda dei Maghi: ogni linea narrativa ha una propria atmosfera, una propria etica, una propria progressione.
E alcune missioni sono palesemente geniali. Come “Whodunit?”, dove devi uccidere ospiti a una festa senza farti scoprire. O il furto del dipinto magico. O la casa infestata a Anvil.
Ogni quest prova a mettere il giocatore in una situazione interessante, senza fare solo da contorno alla trama principale. E questo, in un open world, non è affatto scontato.
Atmosfera e colonna sonora
La musica di Jeremy Soule è fondamentale. È dolce, malinconica, evocativa. Fa sentire il tempo che passa, i tramonti, la solitudine.
Insieme a quella luce morbida, quasi da acquarello, crea un mondo dove fa piacere semplicemente camminare. Esplorare per il gusto di farlo.
Anche l’estetica, per quanto oggi sembri datata, ha una sua coerenza: fiabesca, tranquilla, serena, in netto contrasto con l’oscurità degli Oblivion Gate. È come se il mondo stesso cercasse di resistere alla distruzione, rimanendo bello nonostante tutto.
Trama e world building
La trama principale ha i suoi momenti epici, e non è banale. La tensione politica, l’assenza dell’Imperatore, il culto di Mehrunes Dagon, la lotta per mantenere l’equilibrio: c’è una solidità narrativa.
E il world building è ben integrato nel gameplay: i testi, le conversazioni, le architetture, tutto rimanda a un mondo con una sua storia e le sue fratture. Non ci sono spiegoni: se vuoi capire, esplori, leggi, osservi.
❌ Cosa non funziona
Livellamento dei nemici e del mondo
Il più grosso difetto di Oblivion. Il mondo scala con te. A ogni livello, i nemici diventano più forti, il loot più potente, e tutto si “adegua” al tuo stato.
Il problema è che questo rompe l’immersività. Un bandito con un’armatura daedrica solo perché sei al livello 30 è ridicolo. Il mondo smette di sembrare reale, e si rivela per quello che è: una struttura che reagisce a te artificialmente.
Certo, continui a essere più forte, perché migliori le abilità. Ma il fatto che il mondo intero ti segua nel power level distrugge il senso di pericolo o di progresso vero.
Avresti voglia di tornare in quel dungeon basso livello per sentirti onnipotente, ma no: adesso ci trovi creature diverse, più forti.
Il mondo non è più un mondo: è una palestra che si aggiorna in automatico.
Scaling del loot
Strettamente legato al punto precedente. Anche il loot scala con te. E questo significa che non puoi mai trovare qualcosa di davvero potente prima del momento “giusto”.
Addio alla scoperta improvvisa, all’oggetto trovato per caso che cambia la tua partita. Tutto è razionato per livelli.
E di nuovo, si sente che il mondo non è naturale, ma regolato da script che si adattano a te.
Combattimento grezzo
Il punto più debole sul piano del gameplay. I colpi non hanno impatto, il feedback è scarso, l’animazione è rigida.
Colpire un nemico non sembra colpirlo. E spesso i duelli diventano uno scambio di schiaffi lenti e senza peso.
Le magie, al contrario, hanno più spinta – ma anche lì le hitbox sono discutibili, e il targeting è macchinoso.
Non è un sistema che cresce con te. Diventi più forte, ma non perché il combattimento diventa più bello. Solo perché i numeri salgono.
Le tre età del design: Morrowind, Oblivion, Skyrim
Prima di concludere, vale la pena fare un passo indietro. I The Elder Scrolls hanno sempre avuto un’anima riconoscibile. C’è qualcosa che li accomuna, che li rende immediatamente identificabili: un certo modo di intendere l’open world, la libertà, la simulazione.
Eppure, ogni capitolo lo interpreta a modo suo. Ognuno prende quella filosofia e la piega in direzioni diverse, a volte opposte. Morrowind è il più misterioso e intransigente. Skyrim il più accessibile e spettacolare. Oblivion, in mezzo, è il momento in cui tutto era ancora in equilibrio.
Ecco allora un confronto diretto tra i tre capitoli più iconici della serie: non per decidere quale sia il migliore, ma per capire come cambia — e cosa resta — dell’anima dei The Elder Scrolls.
1. Progressione del personaggio
Morrowind: sistema di crescita basato esclusivamente sull’uso delle abilità, con progressione determinata dalla combinazione delle skill principali. La creazione del personaggio è complessa: razza, segno zodiacale, classe personalizzata. Ogni scelta ha impatti reali sul gameplay. C’è un vero senso di “build”, ma anche molta opacità.
Oblivion: mantiene la crescita per uso delle abilità, ma introduce il concetto di livello globale che influenza il mondo. Permette di creare build flessibili, ma l’eccessiva meccanicità dello scaling rompe l’immersione. È più leggibile di Morrowind, ma anche più fragile come sistema.
Skyrim: elimina le classi. Cresci facendo ciò che fai, ma puoi diventare tutto. Le scelte iniziali non vincolano quasi nulla. L'albero delle perk rende la progressione più visiva, ma semplifica anche le differenze tra personaggi. Il sistema è intuitivo, ma perde profondità e conseguenze.
Implicazione: si passa da un sistema rigido e profondo (Morrowind), a uno flessibile ma instabile (Oblivion), fino a uno permissivo ma poco caratterizzante (Skyrim).
2. Struttura delle quest
Morrowind: tutte le quest sono scritte a mano. Nessun quest marker. Le istruzioni sono testuali, spesso vaghe. Alcune quest si possono fallire o chiudere male. Le fazioni sono esclusive: far parte di una può precludere l’accesso ad altre. Le scelte hanno peso.
Oblivion: mantiene quest scritte a mano, ma introduce i marker e il fast travel. Le gilde hanno storie solide e distinte, ma sono tutte accessibili in parallelo. Le missioni sono più leggibili ma restano spesso sorprendenti, con idee originali.
Skyrim: mescola quest scritte a mano con quest radiant, generate proceduralmente. Le fazioni sono accessibili in parallelo, e le scelte raramente hanno vere conseguenze. Le quest sono più “giocose” ma anche più intercambiabili.
Implicazione: si passa dalla scelta alla collezione: da una struttura che chiede di prendere posizione a una che punta all’esaustività.
3. Navigazione ed esplorazione
Morrowind: niente frecce, niente mappe dettagliate. Ci si orienta con il testo e la geografia. Il fast travel avviene solo tramite mezzi diegetici (silt strider, barche, teleport). L’esplorazione è lenta, ma premiante2.
Oblivion: introduce la mappa con marker, la bussola e il fast travel automatico. L’esplorazione resta libera, ma più leggibile. La mappa è omogenea, ma piena di piccoli luoghi da scoprire.
Skyrim: raffina ulteriormente la navigazione. Il mondo è più verticale e spettacolare. La mappa è interattiva e tridimensionale. Il fast travel è onnipresente. Il rischio è che il senso della scoperta diventi superficiale.
Implicazione: si passa da una navigazione basata sull’orientamento (Morrowind) a una basata sull’efficienza (Skyrim), con Oblivion nel mezzo come fase di transizione.
4. Simulazione e interazione col mondo
Morrowind: il mondo è statico. I PNG sono immobili3. L’interazione ambientale è minima. La simulazione è più concettuale che sistemica.
Oblivion: introduce la Radiant AI: i PNG mangiano, dormono, lavorano. Si può sedersi, spostare oggetti, interagire con l’ambiente. La fisica (Havok) rende il mondo più tangibile. Non tutto funziona bene, ma l’intento è rivoluzionario.
Skyrim: migliora la simulazione, ma la regola. I PNG sono meno imprevedibili. L’interazione ambientale è più rifinita ma meno libera. I comportamenti sono più scriptati.
Implicazione: Oblivion è il punto più “artigianale” della simulazione, mentre Skyrim è più rifinito ma meno dinamico.
5. UI e accessibilità
Morrowind: interfaccia complessa, densa di testo, non ottimizzata per il controller. Diario confuso ma completo. Richiede attenzione.
Oblivion: modernizza la UI, ma resta verboso. Diario più chiaro, menu più semplici, ma ancora un po’ macchinosi.
Skyrim: interfaccia pulita, minimale, ottimizzata per console. Il diario è essenziale, forse troppo. L’accessibilità migliora, ma a scapito della trasparenza.
Implicazione: si passa da un’interfaccia fatta per l’approfondimento (Morrowind) a una fatta per il consumo rapido (Skyrim).
6. Sistema di combattimento
Morrowind: statistico. Colpire non garantisce il danno. Il combat è lento, numerico, con poche animazioni e molto RNG4.
Oblivion: introduce il combat fisico. I colpi colpiscono davvero, anche se il feedback è legnoso. Aggiunge blocchi, parate, magia attiva. Non perfetto, ma molto più coinvolgente.
Skyrim: combat più fluido, con killcam, armi differenziate, magia in tempo reale. Più spettacolare ma meno profondo.
Implicazione: il combat evolve da simulazione statistica a spettacolo visivo. Oblivion è l’esperimento. Skyrim il prodotto finito.
7. Approccio alla narrativa
Morrowind: lore denso, testi scritti, esposizione minimale. Devi leggere, investigare. I dialoghi sono testuali, i temi sono forti ma non guidati.
Oblivion: mantiene testi e dialoghi scritti, ma aggiunge recitazione vocale e cutscene. Le gilde hanno narrazioni potenti, i temi emergono attraverso il gioco.
Skyrim: narrativa più esplicita, cinematica, con molti dialoghi parlati e meno testi da leggere. Il worldbuilding è ancora forte, ma meno stratificato.
Implicazione: si passa da una narrativa scoperta (Morrowind) a una narrativa esposta (Skyrim), con Oblivion che riesce ancora a farle convivere.
In sintesi, Morrowind rappresenta l'apice della complessità e della profondità, Oblivion funge da ponte tra la complessità e l'accessibilità, mentre Skyrim privilegia l'accessibilità e la spettacolarità, a volte a scapito della profondità e della coerenza del mondo di gioco.
Conclusione
Oblivion non è perfetto. Ha un sistema di scaling problematico, un combattimento legnoso, e una quantità di sbavature tecniche tipiche dei giochi Bethesda.
Ma ha anche qualcosa che tanti open world moderni non hanno più: libertà vera. La possibilità di vivere un mondo e non solo giocarci dentro. Di perderti, di scegliere, di plasmare la tua esperienza in base a come vuoi interpretare il tuo personaggio.
È uno di quei giochi che non ti chiede nulla. Ti lascia lì, nel mezzo di Cyrodiil, con un diario vuoto e mille possibilità.
E quella libertà, quell’apertura, quel senso di scoperta spontanea… sono ancora oggi una delle esperienze più pure che il videogioco possa offrire.
In un panorama dove gli open world sono sempre più quest-driven, Oblivion resta uno dei pochi esempi veramente world-driven: è il mondo, e non la storia, a dettare le regole del gioco. Ed è per questo che continuo a tornarci.
Tutta la serie di TES ha questa unicità, un'anima ben definita che speriamo non venga meno con il sesto capitolo in uscita.
In Morrowind non esistono i quest marker sulla mappa, almeno non nel senso in cui li conosciamo da Oblivion in poi.
Quando ricevi una missione in Morrowind, il diario si aggiorna con informazioni testuali. Sei tu a dover leggere e interpretare quelle istruzioni:
“Viaggia a sud-ovest da Balmora fino a raggiungere il guado, poi segui il fiume verso est fino a un’antica rovina dwemer…”
Non c’è nessuna freccia sulla bussola, nessun marker lampeggiante sulla mappa. La missione non ti prende per mano: devi orientarti da solo, usare i nomi dei luoghi, seguire i punti cardinali, a volte anche parlare con altri PNG per avere più indicazioni.
Questo era parte della filosofia hardcore e simulativa di Morrowind, e rendeva l’esperienza più lenta ma anche più immersiva. Non era raro perdersi o finire in una zona diversa da quella indicata — e succedeva davvero di "vivere" nel mondo invece che semplicemente seguirne un copione.
I PNG di Morrowind non hanno routine giornaliere: stanno fermi nello stesso posto 24 ore su 24, con dialoghi e comportamenti statici. Non vanno a dormire, non mangiano, non si spostano, non reagiscono dinamicamente all’ambiente.
In Oblivion, al contrario, viene introdotta la Radiant AI, un primo (e ambizioso) tentativo di dare una routine ai personaggi: lavorano, passeggiano, vanno a dormire, possono addirittura rubarsi a vicenda o litigare. È una simulazione basica, ma rappresenta un salto enorme rispetto al mondo “immobile” di Morrowind.
Morrowind utilizza un sistema di combattimento derivato dai GDR cartacei, in cui l’esito di un attacco è determinato da un tiro “virtuale” di dado. Anche se visivamente vedi il tuo personaggio colpire, non è detto che il colpo vada a segno: dipende dal valore della tua abilità (es. spada lunga), dalla destrezza, dalla fatica e da un calcolo probabilistico invisibile.
È un sistema puramente statistico, dove l’interazione reale (mirare, colpire) non garantisce l’effetto. Questo crea un distacco tra azione del giocatore e risultato a schermo — cosa che Oblivion supererà con il passaggio a un combat “fisico” più diretto.