Partiamo dal presupposto (idiota, ma va trattato) che la percezione della difficoltà è totalmente soggettiva, c’è chi troverà difficile un videogioco che qualcun altro avrà trovato estremamente facile e vicevera. Toltasi questa impasse addentriamoci, ora, nel cuore della questione.
La difficoltà di un videogioco fa parte della sua poetica. Aggiungere difficoltà più facili (o più difficili), inoltre, non è una cosa che si fa così facilmente, servono mesi di studi e di bilanciamento e, magari, sono anche un costo inutile, e starà all’editore (più che all’autore stesso) decidere se il costo vale la candela. Non va dimenticato che alcuni giochi, come i souls di FROM, hanno avuto successo proprio grazie alla loro presunta difficoltà. In particolar modo Dark Souls venne pubblicizzato come estremamente difficile, e la sua difficoltà fece parte anche della sua comunicazione e del suo branding. Non è un caso se la versione originale di Dark Souls per PC si chiamò “Prepare to Die Edition”. Se un'opera è difficile per un utente da esperire, non lo fa, non è obbligato, non è uno scemo se non gioca e finisce Dark Souls. Sekiro senza la sua difficoltà del suo combattimento, senza quella tecnica, memoria muscolare, aggressività perderebbe tutto il suo fascino del voler raccontare lo scontro tra spadaccini formidabili. Uno shoot em’ up senza la miriade di colpi a schermo, senza la sua difficoltà intrinseca perderebbe tutta la sua poetica di ricerca del flusso zen, quasi di solo memoria ed evasione dal pensiero cosciente, in cui l’istinto prevalica la mente.
Questa necessità non esiste per il cinema e la letteratura1. Non esiste una versione "facile" de Il cavallo di Torino, idem se non riesci a leggere I fratelli Karamazov perché lungo e difficile non si pretende che l’autore pensi a una versione facilitata per chi non riesce a esperirlo. In Guerra e Pace ci sono alcuni dialoghi nelle lingue originali dei personaggi, l’autore non mise la traduzione perchè anche la difficoltà di comprensione da parte del lettore di quei dialoghi faceva parte dell’esperienza di lettura. Allo stesso modo Umberto Eco non mise mai le traduzioni alle parti in latino dentro Il nome della rosa, e si arrabbiò molto quando scoprì che l’editore USA lo aveva fatto.
Forse Dark Souls è, proprio, la sua difficoltà.
Pretendere che i videogiochi debbano essere per tutti è un po’ sintomo dell'infantilismo del mondo videoludico, a volte sembriamo dei ragazzi viziati. Forse potremmo incolpare di questo anche la cultura dell’hype, in cui tutti sentiamo (mi ci tiro in mezzo anch’io, anche se pian piano me ne sto sfilando) la necessità di giocare a tutto per rimanere all’interno della discussione giornaliera di turno, e allo stesso tempo pretendiamo che quel “tutto” sia nelle nostre corde e che sia fatto su misura per noi. Se un gioco è troppo difficile non lo gioco, anzi vi dirò di più, se una cosa non mi piace va bene così, l’importante è non offendere e argomentare il perchè di certi gusti nel caso ci venga richiesto.
Torniamo ora al paragone con il cinema e la letteratura. Qualcuno potrebbe tirare in ballo che la difficoltà sarebbe paragonabile a un libro scritto con caratteri troppo piccoli e quindi inlleggibile per alcuni, ma quì si parla di accessibilità. La difficoltà di un videogioco fa parte del suo contenuto e della sua poetica, essendo il gameplay il linguaggio cardine del videogioco (nella maggior parte dei casi, non tutti). Il font di un libro non è il suo contenuto (per rimanere aderenti all’esempio sopra riportato). Inoltre carattere scritto troppo piccolo2 è più ascrivibile a un problema tecnico, è più simile a un questo gioco va a 2 fps
che a un problema di difficoltà percepita.
Tra l’altro, le opzioni di accessibilità esistono già nei videogiochi che vanno ad aiutare persone anche con determinati disabilità (mi viene in mente l'opzione per daltonici che ormai è onnipresente in quasi tutti i videogiochi)3. Accessibilità è una cosa diversa da difficoltà o facilità. Un libro estremamente difficile è accessibile perché tutti sanno leggere (più o meno), ma non tutti sono in grado di comprenderlo. Forse il film è il sistema di intrattenimento più accessibile, quasi tutti riescono a guardare, comprendere quello che si vede però allo stesso modo non è prerogativa di tutti (e non c’è niente di male). Se la difficoltà fa parte della poetica di un gioco non puoi renderla accessibilmente più facile perché vai a snaturare l'opera, sarebbe come leggere un riassunto di un romanzo molto lungo.
Questo concetto della difficoltà vale anche a parti invertite per giochi percepiti estremamente facili, di cui alcuni ne pretendono difficoltà maggiori opzioniali. Es: Yoshi Crafted World (che ho trovato un videogioco molto bello) ha nella sua facilità la sua poetica bambinesca e quindi una difficoltà maggiore snaturerebbe il messaggio finale dell’opera. Ripeto: la difficoltà di un videogioco è il suo contenuto.
Nel momento in cui FROM deciderà che la "difficoltà" non sarà più parte della sua poetica (e del perché vende) e che sarà conveniente aggiungere altre difficoltà lo faranno. Continuo a trovare, però, assurdo pretende che alcuni sviluppatori debbano sprecare risorse per fare il videogioco a misura di chiunque, loro fanno il videogioco per il loro "lettore" modello, se non lo sei non lo giochi, oppure lo giochi e lo schifi. Quando un autore si appropinqua alla stesura della sua opera ha gia in mente il lettore modello, ovvero quella fetta di pubblico a cui la sua opera è destinata, non è detto che la sua opera sia destinata a tutti, non è detto che tutti debbano esperirla e soprattutto non è detto che l’autore stesso voglia arrivare a tutti e che abbia indovinato il lettore modello.
Ricapitolando:
La difficoltà fa parte del contenuto dell’opera.
Accessibilità e difficoltà sono due concetti diversi.
Non tutte le opere devono arrivare per forza a tutti e nemmeno è detto che vogliano arrivare a tutti.
Un po’ perchè il cinema e la letteratura non hanno bisogno di interazione, non hanno bisogno di qualcuno che “muova” il tutto, ma ora non parliamo di un concetto metodologioco, ma più astratto
Oltretutto, come mi fa notare un utente anonimo, “non è neppure evidente che gli aspetti tipografici siano irrilevanti in ambito letterario, alla fine molti scrittori curano le edizioni anche sotto quel profilo, per non parlare di casi di letteratura in cui il libro fisico interagisce in qualche modo col contenuto come Infinite Jest in cui devi rimbalzare volutamente e continuamente tra storia e note”.
Esistono anche periferiche per aiutare le persone con disabilità.