Il villaggio e la figlia
Sul mistero, la memoria e l’eredità affettiva in Il professor Layton e il paese dei misteri
“Trovare il significato di un testo significa trovare un senso che sia ragionevole, ma non necessariamente quello voluto dall’autore.”
— Umberto Eco, Interpretazione e sovrainterpretazione
Giocare per la prima volta Il professor Layton e il paese dei misteri nel 2025 è come aprire un libro illustrato dimenticato su uno scaffale troppo alto. Ti aspettavi enigmi e logica da settimana enigmistica, e ti ritrovi invece in una parabola malinconica sulla perdita, sulla continuità della memoria, su ciò che resta quando le persone se ne vanno.
Il gioco, di per sé, è una favola gialla: un archeologo gentiluomo, il professor Layton, e il suo giovane assistente Luke vengono chiamati nel villaggio di Saint-Mystère per risolvere un mistero legato a un’eredità enigmatica. Lì incontrano personaggi eccentrici, risolvono decine di puzzle, e si trovano progressivamente invischiati in una trama che all’inizio sembra solo bizzarra, ma poi si rivela intima e struggente.
Il colpo di scena è che tutti gli abitanti del villaggio sono automi, costruiti per custodire un mistero. Ma il centro emotivo del gioco non sta in questa scoperta, né nel vecchio dibattito – onestamente sempre più sterile – su cosa separi l’intelligenza artificiale da quella umana. Se anche ci fosse una differenza oggi, probabilmente è solo nel fatto che i processi delle macchine possiamo, almeno in parte, tracciarli. Quelli umani, per fortuna, ci restano ancora inaccessibili. E forse è bene che rimanga così.
“Non ho il diritto di distruggere il gioco degli altri. Non mi resta che restare seduto ad aspettare. Forse da questo pozzo vedrò apparire qualcosa. Forse non sarà un pendolo, ma un bambino che gioca. Forse è lui il vero iniziato, il custode del Vero segreto. Tutto quello che posso fare è scrivere queste pagine per lui, per spiegargli come sono arrivato fin qui, e perché, se dovesse apparire, gli sorriderò.”
— Umberto Eco, Il pendolo di Focault.
A colpirmi non è stata la natura artificiale degli abitanti, ma il motivo della loro esistenza: sono stati creati per ricordare qualcuno. L’intero villaggio non è altro che una struttura mnemonica, un mausoleo vivente progettato dal barone Reinhold per proteggere la memoria della figlia Flora – la vera Mela d’Oro – che nessuno conosce, che tutti hanno dimenticato, e che Layton infine ritrova.
Quello che il gioco suggerisce con dolcezza, e che Eco dice con spietata lucidità, è che la memoria è un atto di amore. Non si conserva per necessità, ma per scelta. Si tramanda ciò che si ama. Quando Casaubon1, dopo tutto il delirio cabalistico, si rifugia nell’idea (o speranza) di avere un figlio, lo fa per staccarsi da ogni schema, da ogni costruzione ideologica. Il figlio, come Flora, non è la risposta: è ciò che resta quando tutte le risposte falliscono.
Allo stesso modo, Layton comprende che il tesoro non è fatto d’oro né di verità assolute. È Flora, è il gesto di portarla via da quel villaggio sospeso nel tempo, è il rifiuto di smantellare un mondo artificiale perché conserva qualcosa di reale: un legame affettivo. Un gesto che assomiglia molto a una fede laica, un misticismo dell’ordinario.
In tutto questo, gli enigmi disseminati ovunque assumono un significato diverso. Non sono solo prove di logica, ma atti di interpretazione. Ogni puzzle è una metafora: il mondo ci appare come una sequenza incomprensibile di segni, e noi cerchiamo disperatamente di dargli un ordine. Ma quell’ordine è fragile, forse illusorio.
Come ne Il nome della rosa, la verità emerge non per deduzione infallibile, ma per concatenazioni fortuite che interpretiamo a posteriori come necessarie. L’indagine di Guglielmo2 non svela un disegno divino, ma un caso fortuito che ha prodotto una scia di sangue. Allo stesso modo, Layton risolve il mistero, ma ciò che scopre è una storia d’amore rimasta indietro.
Conclusione
Non c’è redenzione nel mistero, ma può esserci cura. Non c’è immortalità, ma c’è memoria. Non c’è una verità assoluta da scoprire, ma persone da ricordare. In questo senso, Il paese dei misteri non è solo un gioco sulla risoluzione di enigmi: è una riflessione silenziosa su ciò che lasciamo dietro di noi, e su come tramandarlo.
Flora è il testamento del padre. Saint-Mystère è la sua lettera d’amore scritta con ingranaggi e routine. E Layton, il risolutore gentile, diventa il garante di una memoria che non chiede di essere decifrata, ma soltanto conservata.
Casaboun è il protagonista de Il pendolo di Focault.
Guglielmo è uno dei protagonisti de Il nome della rosa.