Questo articolo contiene spoiler
Fear the Spotlight perchĆ© ĆØ dai riflettori che dovremmo stare alla larga quando essi cercheranno di illuminarci. Un indie horror che si rifĆ , molto, ai classici del passato, riprendendo a piene mani dal primo Silent Hill, che funziona sotto diversi aspetti, ma purtroppo zoppica un poā dal punto di vista narrativo, poichĆ© ricade spesso negli stilemi dei teen horror anni '90 e della prima metĆ degli anni 2000.
Cosa non funziona in Fear the Spotlight
La narrazione.
A metà degli anni 2000, due studentesse, Amy e Vivian, si intrufolano nella libreria della loro scuola per giocare con una tavola Ouija. Ovviamente, qualcosa andrà storto e si ritroveranno a dover affrontare gli spettri che infestano la scuola. La vicenda è narrata in due capitoli: nel primo, seguiamo Vivian, che indagando sull'incendio che distrusse la scuola alla fine degli anni '90, farà luce sui segreti che essa nasconde; nel secondo capitolo, invece, seguiremo Amy, che dovrà fare i conti con il suo passato e i suoi rimorsi. L'unica cosa che tiene unite le due narrazioni è che, dopo la seduta spiritica, Amy viene imprigionata dallo spirito, e Vivian "combatterà " per cercare di salvarla. Ma è come se fossero due narrazioni separate, in cui sentiamo, raramente, la presenza dell'altra ragazza. Nella storia di Vivian, sappiamo che Amy è presente da qualche parte, perché la stiamo cercando; nella storia di Amy, sappiamo che Vivian ci sta cercando, perché abbiamo già vissuto quella parte della storia e, ogni tanto, potremmo spiare, dallo spioncino della porta della nostra prigione, per vedere Vivian che arranca nella nostra ricerca.
Le due narrazioni paiono scollegate anche a causa della diversa qualitĆ delle storie. Niente di eccezionale, ma nemmeno nulla di pessimo; tuttavia, ho trovato la storia di Vivian più debole. Tralasciando il fatto che le due protagoniste sono estremamente stereotipate ā la nerd paurosa, Vivian, che si rivelerĆ coraggiosa e più forte di quanto si credesse, e la gotica e fredda Amy, che si rivelerĆ invece più fragile e dolce del previsto ā la parte di storia di Vivian ĆØ incentrata sullāincidente avvenuto nella scuola: un incendio durante una recita scolastica che metteva in scena il fantasma dellāOpera. Come al solito, si parlerĆ di bullismo, di professori che ingannano gli studenti, che mettono i fondi scolastici davanti alla sicurezza degli studenti stessi, che insabbiano scandali, anche di natura āsessualeā, tutto per proteggere i fondi scolastici, ecc., esattamente ciò che ci si aspetta da un teen horror anni ā90. Alla fine, quella di Vivian non sarĆ altro che una prova di coraggio per trovare il āgutsā, come le dicono in un dialogo, per dichiarare ad Amy cosa prova veramente. Per Amy, invece, gli orrori che dovrĆ affrontare saranno puramente metaforici: dovrĆ superare lāabbandono del padre, fuggito con unāaltra donna, e la morte del fratello, avvenuta in un incidente (proprio mentre era andato a trovare il padre, che stava male a causa di una malattia non meglio specificata). Un viaggio orrorifico (ma non troppo) per riuscire ad aprirsi allāaltro. Infatti, sul finale, accetterĆ lāamore dellāamica, e finalmente si dichiareranno lāuna allāaltra. Molti stereotipi narrativi, ma il vero punto di forza di Fear the Spotlight ĆØ la sua atmosfera.
Cosa funziona in Fear the Spotlight
Comparto Visivo.
Il low-poly e il filtro CRT riescono a creare inquietudine attraverso la loro costante allusione e il fatto che non si riesca a mettere a fuoco a grande distanza, grazie anche alla bassa risoluzione. Per esempio, due luci di candela molto distanti potrebbero sembrare due occhi rossi che ci osservano da lontano. Anche nella totale oscurità , le ombre non definite rimandano ad altro, e la nostra fantasia, e quindi paura, ci fa percepire qualcosa di diverso da ciò che realmente c'è. Questa tecnica, oltre a essere una citazione di un certo tipo di fare videogiochi horror nell'era della PS1, si presta perfettamente agli horror. Ad esempio, la bacheca, con tutte le foto degli studenti scomparsi durante l'incendio, è già inquietante grazie alla bassa risoluzione e al senso di sfocatura creato dal filtro CRT. Basta davvero un cambio di luce (e di qualche pixel) per far apparire dei volti cadaverici.
Durata.
Il gioco dura poco; io l'ho finito in meno di 5 ore. Credo che il genere horror guadagni dal suo essere breve: tirare troppo per le lunghe la paura finisce per stufare, perché ci abituiamo a essa (ovviamente ci abituiamo a tutto, ma credo che nell'horror questo valga ancora di più). La creazione della tensione funziona solo se l'orrore arriva in dosi brevi e sporadiche, prima che si possano capire i suoi schemi, quando ancora non vediamo i fili che muovono tutti i burattini. Anche la gestione della tensione è difficile da dosare: alla lunga sfuma, se è troppo breve non è impattante, e il senso di disagio è dato proprio dal tempo che intercorre tra la creazione della tensione e il colpo di paura. Non a caso Hitchcock diceva: "There is no terror in the bang, only in the anticipation of it." Già verso la fine di Fear the Spotlight avevo smesso di essere in tensione, perché avevo capito i suoi schemi videoludici e, quindi, la tensione è venuta meno, e con essa la paura e l'inquietudine, quindi è stato un bene che la sua durata fosse così breve.Gameplay.
Il gameplay non è nulla di trascendentale, ma funziona. Ho provato una certa piacevolezza nel completare gli enigmi, che non risultano mai fuori luogo, come a volte accade, per esempio, in Resident Evil. In Fear the Spotlight siamo in una dimensione che definirei onirica, e il fatto che le cose funzionino in modo atipico non mi ha mai fatto uscire dal racconto; al contrario, mi ha aiutato a immergermi di più. Ho trovato anche gli enigmi abbastanza semplici e di facile soluzione, anche se non immediata, cosa che ho apprezzato, perché mi ha evitato di girare a vuoto e di perdere tutto il senso di urgenza dato dalla narrazione.
L'interazione con gli oggetti, inoltre, mi è risultata molto immersiva: infatti, dobbiamo eseguire tutte le azioni manualmente (ovviamente, in termini videoludici). Ad esempio, per aprire una scatola, devo tenere premuto il tasto azione, come se stessi afferrando il coperchio, e poi muovere la levetta nella direzione in cui voglio che si apra. La stessa cosa vale per gli altri oggetti: per esempio, con il martello, se devo spaccare una finestra, devo effettivamente cliccare sul vetro con il martello per frantumarlo, oppure con la chiave inglese, devo farla effettivamente girare, e così via.
Riesce a rendere anche immersivo il sistema di cure, che per Vivian consiste in un inalatore per curare il suo asma, mentre per Amy sono delle bacchette di incenso per diminuire lo stress. Entrambi gli oggetti si rifanno ai caratteri delle due protagoniste, creando una sorta di narrazione attraverso le meccaniche, in maniera minimale e marginale, ma mi ĆØ piaciuta questa cura per il dettaglio che in Fear the Spotlight non manca.
Fear the Spotlight è più una prova di coraggio per le due protagoniste che una vera e propria storia horror; entrambe dovranno fare i conti con le loro debolezze per dichiararsi l'una all'altra e poter, quindi, essere felici.
In fin dei conti, ho apprezzato Fear the Spotlight. Credo che, nonostante le sue carenze narrative (un po' troppo "teen" per i miei gusti), il gioco sia riuscito a compensare con una bella atmosfera e un gameplay che scivola via senza appesantire il tutto1, senza dimenticare un ottimo voice acting che dĆ vita alle due protagoniste, che, in fin dei conti, mi sono risultate amabili.
A differenza del mio odiato Alan Wake 2