Questo è un testo di risposta al video di Luca Wright con Mara Sanvitale, qui sotto trovate il video originale se volete recuperarlo.
Ci tengo a dire che tutto il testo sono mie personalissime opinioni e che quindi c’è sempre un SECONDO ME enorme e implicito in ogni frase e argomentazione, buona lettura.
Tutto il discorso inizia a un’ora e nove minuti, esattamente quando Luca Wright si paragona a un Blorp cercando di fare un paragone errato con l’autoproclamazione di critico videoludico. Questo è il tema principale, la definizione di critico da parte propria e da parte di altri, ma ci arriveremo con calma più avanti.
Mara inizia, subito, una discussione su cosa sia e da chi dovrebbe essere riconosciuto un critico (senza entrare troppo nei dettagli Sanvitale mi sembra che si contraddica pure da sola in certi momenti), purtroppo, però, nell'era dei social l'ultimo criterio1 è il numero e quello che gli altri ci riconoscono. Non è bello, non è un mondo ideale ma, nell’era dei social, è così. Se la comunità della critica videoludica ancora non esiste (per Mara, per qualcun altro esiste già invece e ne fa, addirittura, parte), chi deciderà quando esisterà? Quando esisterà un'università? I games studies già esistono, come ci ricordano loro stessi nel video, quindi? È veramente così importante definire il critico? Non è più importante il testo critico invece che il suo autore o il personaggio? Si torna come sempre al discorso, intorno all'era dei social, in cui il personaggio è più importante del suo testo. Una particolare laurea (o un attestato di qualche genere) non potrà mai garantire una presunta oggettività e quindi verità di una critica, né tantomeno potrà garantire la qualità del testo. La vera critica oggettiva non esiste.
A un’ora e ventiquattro Luca dice che tutti possono parlare di videogiochi e ha ragione, ha ragione anche quando dice che se vuoi parlare di aspetti tecnici, di mercato, di industries devi studiare (bisogna sempre studiare, anche per parlare di aspetti puramente estetici, ma ognuno ha diverse sensibilità e quindi…). Poi parla, ancora, di oggettività delle meccaniche di un videogioco, ma se queste dinamiche sono oggettive perché tutti, studiando, non fanno sempre il videogioco perfetto? Certo, non nego che esista una grammatica videoludica per far comprendere il medium a più persone possibili, ma è tutto il comparto estetico che dà un significato all’opera finale. Come sempre, cito Deadly Premonition: un gioco dallo shooting scadente ma che riesce a essere grandioso grazie alla sua immersione e alla sua estetica, e quindi Deadly Premonition è oggettivamente brutto o bello? Ci sono scale di grigio, definire se una cosa deve piacere o meno è quanto meno ridicolo. Non esisterà mai una forma matematica per riuscire a discernere il bello dal brutto, figuriamoci per imporre una visione del bello (inteso in senso lato) agli altri.
Un critico cercherà di convincere gli altri con le sue argomentazioni, che possono essere anche totalmente scevre da un discorso tecnico. Se il buon Luca cerca di farci capire che critica uguale analisi tecnica, come al solito credo che non saremo mai d'accordo. Mi tocca nuovamente citare il testo critico di Gekigemu su BotW2 al cui interno non si fa mai riferimento a componenti tecnici del videogioco, ma è un'analisi totalmente estetica e, quindi, un ottimo testo critico, forse uno dei migliori che mi sia mai capitato di visionare o leggere in Italia. Purtroppo, secondo Luca Wright, chi non si interessa di aspetti tecnici non è un critico videoludico, lo dice lui stesso rispondendo all'utente fdp1982 a un'ora e ventotto minuti.
Luca poi continua ribadendo che bisogna studiare e ha ragione, dobbiamo studiare sempre, tutta la vita, per comprendere la realtà, l'arte e, in questo caso, il medium videoludico, ma cosa? Torniamo al solito discorso dell'ampiezza del videogioco: una visual-novel, -che fa pochissimo affidamento su meccaniche videoludiche e che è molto più simile a un librogame digitale (se vogliamo semplificare e banalizzare)- non è un videogioco? È sempre più difficile riuscire a definire cos’è un videogioco in un medium che comprende tantissime opere, che solitamente sono anche molto differenti le une dalle altre, e, quindi, credo diventi sempre più difficile delimitare le competenze che servano per essere dei critici videoludici. Luca torna ancora su questa cassetta di strumenti per diventare buoni critici videoludici? Ma cos'è? Bisogna fare un corso di game design? Oppure basta studiare filosofia estetica, storia dell’arte, banalmente, arte o bisogna avere un certa sensibilità? Alla fine il videogioco è un'opera estetica e quindi potremmo approcciarlo anche, solamente, da un punto di vista filosofico. Esiste una branca dell'arte che si chiama estetica relazionale, definizione coniata dal critico Nicolas Bourriaud3, quindi perché non possiamo approcciarci al medium videoludico utilizzando questo metodo (se metodo lo si può definire), essendo il videogioco arte relazionale? Se si deve peccare di principio di autorità preferisco citare Bourriaud che altri, ma non è quello che io voglio.
Si continua poi col paragone tra libri e videogiochi, in cui si identifica il saper leggere un testo con il saper leggere le meccaniche di un videogioco, quando, invece per me, il paragone è sbagliato di partenza. Il saper leggere un videogioco è il saperlo giocare, alla fine leggere un libro è il poter usufruire di quel libro, Luca Wright, secondo me, confondo il saper leggere con il saper scrivere. "Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare"
4. Un buon lettore non è detto che sia un buon scrittore (o uno scrittore), un buon critico letterario non è un buon romanziere, un buon critico videoludico non è detto che sia un game designer. Non solo il critico non è colui capace di replicare l'opera di cui va a scrivere un testo critico, ma non gli vanno pretese competenze per poterlo essere in potenza. Una buona critica può essere anche assente di qualsiasi analisi tecnica e l'interpretazione di un gameplay (come di ogni altro testo) non si arresta al suo funzionamento meccanico. Mi sembra che si confonda la definizione di critico con competente, la competenza non è condizione necessaria per essere un buon critico, certo aiuta, ma, secondo me, sono due ambiti differenti.
Si continua poi citando il MDA framework come metodo per analizzare correttamente un videogioco. Purtroppo si basa su 8 presupposti concetti di divertimento che, comunque sia, rimangono soggettivi, essendo troppo legati alla sfera emotiva delle persone. Non metto in dubbio che questo metodo possa aiutare nell'analisi di un videogioco, e soprattutto nel suo sviluppo, ma se è veramente così oggettivo perché continuano a uscire videogiochi non belli? Perché gli sviluppatori non usano alla lettera questo metodo per fare il videogioco perfetto? E se a qualcuno non piacesse il videogioco che corrisponde a tutti questi crismi, sarebbe lui un deviato? Purtroppo, e per fortuna, l'estetica non è scienza e quindi non ci sarà mai un metodo giusto o sbagliato per definire cosa è bello o cosa è brutto. Non esisterà mai un modulo da compilare per fare la critica oggettivamente giusta, non è un test a crocette, è un testo argomentativo che tenterà di sedurre le altre persone sulla qualità (banalizzando) o meno di un videogioco (o di una qualsiasi opera estetica più in generale). E il valore di quel testo sarà dato dal consensus che si creerà intorno a esso. La vera critica, per me, è il discorso intorno a un'opera, non esiste (e mai esisterà) un'analisi completa, non la si può nemmeno millantare, né tanto meno pretendere. La critica completa sarà la somma di tutti i discorsi intorno all'opera stessa, che siano puramente tecnici o estetici.
Voglio concludere, ma prima mi fermo su di un un altro punto: Luca Wright dice che non tutte le opinioni sono uguali e pesano allo stesso modo, e ha perfettamente ragione, ma chi dà importanza e peso a queste opinioni? Potremmo quindi giungere al finale che il critico sta negli occhi di chi guarda e se, finalmente, fossimo abbastanza maturi da non costruire recinti potremmo ampliare il discorso intorno al videogioco (e sbarazzarci una volta per tutte dalle recensioni “consiglio per gli acquisti” spacciate come testi critici). E, quindi, è totalmente dannoso scomunicare un interlocutore a prescindere, essendo il videogioco un’opera estetica, solo perché non conosce i metodi della vera critica che si forma videogiocando tanto e studiando tanto solo quel determinato medium (in questo caso quello videoludico). Bisogna (ma anche no, a ognuno le sue priorità) essere eterogenei, spaziare, studiare… I testi parlano tra di loro, superando il loro stesso medium. Il positivismo è finito, il dadaismo ha messo l’ultimo chiodo sulla sua bara, ergo mi sembra quantomeno inutile e intollerante squalificare le opinioni altrui perché si crede di detenere la verità sulla critica.
Quindi, alla fine, sono giunto al fatto che non esiste né il critico né tanto meno la sua definizione.
Ivi trovate la definizione della Treccani, anche se è consigliato leggere il libro dello stesso Nicolas Bourriaud intitolato, appunto, “Estetica Relazionale”.
Come ci ricorda U. Eco in “Lector in Fabula” i libri (e in questo caso i videogiochi) sono opere pigre che hanno bisogno di un lettore per prendere vita e quindi il processo di interpretazione. La competenza grammaticale del destinatario “è postulata dal messaggio”.