CāĆØ qualcosa in Mundaun che ti costringe a rallentare. Non per via delle meccaniche, nĆ© per una scelta narrativa esplicita. Ć il mondo stesso, il modo in cui si presenta: storto, opaco, inciso a mano, come se fosse stato ricopiato da un sogno confuso. Non ĆØ un gioco che si lascia consumare. Va esplorato con cautela, come si cammina in una soffitta dopo anni. Non sai cosa troverai, ma ogni oggetto, ogni suono, ogni vuoto ti racconta che qui ĆØ successo qualcosa, anche se nessuno vuole dirti cosa. Non ĆØ horror nel senso comune. Non cāĆØ il brivido improvviso, ma una tensione che si accumula piano, senza clamore. Una paura che non viene da fuori, ma da sotto: dal fondo della memoria, dalle storie che si tramandano senza voce, dai dettagli fuori posto che iniziano a sembrarti familiari. Mundaun ĆØ un gioco che parla di un luogo. Ma anche di ciò che un luogo può trattenere: morte, ricordi, paure, parole mai dette.
Gotico rurale e fiaba nera ā Il silenzio dei monti
Mundaun appartiene a un filone narrativo poco frequentato, ma subito riconoscibile: quello del gotico rurale. Non ci sono castelli in rovina o cittĆ decadenti, ma baite isolate, fienili anneriti dal tempo, strade di montagna dove il silenzio pesa più delle parole. Lāorrore non arriva da lontano: ĆØ giĆ qui, sedimentato nel paesaggio. Vive nei racconti sussurrati, nei rituali contadini, nei gesti che si ripetono perchĆ© āsi ĆØ sempre fatto cosƬā.
Il gioco mette in scena un mondo dove il soprannaturale non ĆØ eccezione, ma parte della normalitĆ . Un luogo dove la superstizione non ĆØ debolezza, ma necessitĆ : una forma di sapere tramandato, nato dallāosservazione di un ambiente ostile e indecifrabile. Le montagne di Mundaun non sono solo sfondo, ma personaggi a loro volta. Sono alte, imponenti, spesso inaccessibili. Osservano. E trattengono. Ogni sentiero porta verso lāinterno, non verso lāuscita.
In questo contesto, Mundaun prende molto anche dalla fiaba nera. Non dalla fiaba dolce e pedagogica, ma da quella che mette in guardia, che racconta il bosco come luogo di prova, che fa della paura uno strumento per conoscere i limiti. I personaggi che si incontrano sembrano usciti da racconti antichi: il vecchio apicoltore, la bambina silenziosa, il pastore solitario. Figure sospese tra il reale e lāimmaginario, senza mai chiarire da che parte stanno.
Tutto in Mundaun suggerisce un mondo dove il confine tra realtĆ e mito ĆØ sottile. LāambiguitĆ ĆØ costante: quello che vediamo ĆØ unāallucinazione, un ricordo, o una veritĆ che il protagonista ha sempre ignorato? Il gioco non lo spiega mai del tutto, e questa indecisione ĆØ la sua forza. Ć come ascoltare una storia accanto al fuoco: una di quelle che fanno paura non per ciò che mostrano, ma per ciò che evocano. Una storia a cui non sai bene se credere o no, ma che intanto si ĆØ giĆ infilata sotto pelle.
Spazio
In Mundaun si cammina molto, ma non ĆØ un gioco sul movimento. Ć un gioco sullo spazio, o meglio, sulla sua ambiguitĆ . Le case sembrano più grandi dentro che fuori, le stanze si aprono su corridoi che non dovrebbero esserci, e certe salite non finiscono mai nello stesso posto da cui sei partito. Il mondo ĆØ piccolo ma si dilata, si piega, si ripete. Non cāĆØ coerenza topografica, ma cāĆØ una logica interiore: quella del sogno, o del ricordo mal conservato.
Il gameplay asseconda tutto questo. Non serve orientarsi in modo efficiente, ma lasciarsi portare. Ogni azione ĆØ semplice ā raccogliere, osservare, accendere ā ma il modo in cui il mondo risponde ĆØ sempre leggermente sbagliato. Apri una porta e sei da unāaltra parte. Torni sui tuoi passi e qualcosa ĆØ cambiato. Il gioco non te lo dice, non lo sottolinea. Lo fa e basta. Come fanno certi sogni: non urlano la loro stranezza, la mostrano con calma.
Lāestetica non ĆØ un filtro, ĆØ la sostanza. Tutto ĆØ disegnato a mano, a matita, ma senza cercare la bellezza: i volti sono grezzi, le texture sbavate, le ombre sbilanciate. Non ĆØ un mondo realistico, ma uno che porta i segni di chi lāha creato. Come una valle disegnata da chi la conosce a memoria, ma ha dimenticato i dettagli. Il tratto incerto diventa linguaggio, e il bianco e nero non ĆØ una scelta āstilosaā, ma un modo per dire che qui il tempo non passa, solo si incide.
Anche le geometrie seguono questa logica: nulla è perfettamente diritto, nulla è pulito. Le montagne sembrano disegnate controvoglia, ma stanno lì come masse immobili e minacciose. Le case sono storte, le scale ti confondono, le stanze hanno angoli che non ricordavi. à tutto deformato, ma non in modo surreale: è deformato come lo è un luogo nella memoria, o nel racconto di qualcun altro.
Tempo
Il tempo, in Mundaun, non scorre. Sta fermo. O forse gira in tondo. Ć un tempo che non si misura, ma si sente. Le giornate non cambiano mai davvero. Non si sa che ora ĆØ, non si sa da quanto si ĆØ lƬ. Il cielo resta grigio, lāaria resta densa. Anche il fuoco, che dovrebbe marcare un prima e un dopo, continua a bruciare sempre nello stesso modo. Come se il mondo fosse rimasto bloccato nel momento in cui qualcosa ĆØ andato storto.
Ma non ĆØ il tempo del trauma. Ć un tempo diverso: quello della persistenza. Tutto in Mundaun esiste da molto prima che tu arrivi, e continuerĆ a esistere molto dopo. Tu sei solo un passaggio. Un visitatore che apre porte che erano giĆ state aperte, legge lettere giĆ lette, rivive sogni che non sono suoi. Anche i morti sembrano stanchi: non appaiono per spaventarti, ma per ricordarti che cāerano. Questa sospensione attraversa tutto. I movimenti sono lenti, gli enigmi non ti mettono fretta, il mondo non ti guida. Non cāĆØ urgenza, e questo disorienta. Siamo abituati a giochi che ci spingono avanti, che premiano la progressione. Mundaun fa lāopposto: ti fa rimanere. Ti chiede di stare in luoghi dove non succede nulla per minuti interi. Non perchĆ© ti sei perso, ma perchĆ© lƬ cāĆØ qualcosa che devi sentire. Anche se non sai bene cosa.
Lāestetica stessa ĆØ fuori dal tempo. Il disegno a matita non ha epoca. Non ĆØ moderno, non ĆØ retrò. Ć come un foglio trovato in un vecchio quaderno, senza data. I volti sembrano quelli di fotografie di famiglia dimenticate, i paesaggi hanno lāambiguitĆ delle cartoline scolorite. Non cāĆØ nostalgia, però. Solo unāassenza di tempo. Un modo di dire che questo luogo ĆØ stato sempre cosƬ, e cosƬ resterĆ .
Il tempo in Mundaun non serve a capire, ma a sentire. E quello che senti non ĆØ mai lineare. Ć stratificato, confuso, come accade nei ricordi veri. O nei sogni. O in certe storie raccontate da vecchi che ripetono sempre gli stessi dettagli, sempre nello stesso ordine, perchĆ© qualcosa ā anche se non sanno cosa ā deve rimanere vivo.
Morte e ricordo ā Luoghi che ricordano
Se il tempo in Mundaun non scorre ma resta, e se lo spazio non si orienta ma si deforma, allora il ricordo è ciò che tiene tutto insieme. Non come flashback, ma come materia. Il ricordo in Mundaun non è qualcosa che avviene nella mente: è incorporato nei luoghi. à nei muri, nei fienili, nei letti vuoti e nei sentieri mai del tutto percorribili. à tempo passato che ha preso forma, che si è addensato in geometrie sbagliate, in proporzioni disturbanti. à architettura emotiva.
La morte, in questo contesto, non chiude nulla. Non libera. Non risolve. Ć un accumulo. Le cose non muoiono: restano. Cambiano forma, si confondono, ritornano. Ma non se ne vanno mai davvero. Mundaun non mette in scena la classica tensione tra vita e non-vita. Parla piuttosto di una zona grigia dove i morti non fanno paura, ma esistono ancora. Dove la loro presenza ĆØ un dato, come la nebbia o la pendenza del terreno. Ć qui che la memoria collettiva diventa reale. Non nel senso di una storia condivisa, ma di una densitĆ . Di un passato che non ha mai avuto il tempo o il modo di essere elaborato. Non ci sono lapidi, non ci sono spiegazioni: solo oggetti lasciati, parole non dette, lettere incomplete. Il protagonista raccoglie, osserva, ma non decifra. Non ĆØ lƬ per chiarire, ma per attraversare. Come se lāunico modo per dare pace ai morti fosse percorrere gli stessi luoghi, fare gli stessi gesti, dormire negli stessi letti. Vivere abbastanza a lungo da ascoltare il silenzio.
In questo senso, il ricordo non ĆØ solo tempo: ĆØ spazio. Spazio abitato dalla morte, dalla colpa, dal non detto. Mundaun non ti chiede di ricordare, ma di abitare il ricordo. Di muoverti dentro di esso, con rispetto, senza fretta. Come si cammina in un campo dove si sa che qualcuno ĆØ sepolto, anche se nessuno lo dice.
Quando si finisce Mundaun, non si ha la sensazione di aver chiuso qualcosa. Piuttosto, sembra di aver riaperto una porta che era stata sigillata male. Il gioco non offre risposte, non distribuisce verità . Rimane in sospeso, come sospeso è il tempo che racconta. E forse è giusto così. Perché certe storie non si spiegano: si ascoltano, si attraversano, si ricordano male.
Mundaun resta addosso come una leggenda locale ascoltata da bambini: ti dimentichi i dettagli, ma certe immagini non se ne vanno più. Una capra che ti guarda, una casa che non finisce mai, un nonno che brucia e continua a parlare. à un gioco che non vuole insegnare niente. Vuole solo restare. Come fanno certi silenzi in montagna, quando il vento si ferma per un attimo e sembra che il mondo ti stia ascoltando.
Bellissimo articolo
e grazie ancora per avermelo consigliato