Sempre più spesso mi chiedo perché mi piaccia un determinato videogioco, o viceversa, perché quel gioco non mi è piaciuto o, peggio, l’ho detestato. Per anni ho cercato di dare ai miei gusti una visione oggettiva, nella totale ignoranza che il bello è completamente soggettivo, non esiste niente di più vero del detto “la bellezza sta negli occhi di guarda”. Ultimamente, quindi, mi sono perso completamente nella deriva del banale “so’ gusti!”, ma come si convince che quell’opera (non solo videoludica) per te è estremamente importante e che quindi il tuo interlocutore dovrebbe assolutamente provare? Non lo so.
Trascendendo completamente dal linguaggio tecnico, e quindi dando per assodato che tale videogioco funzioni solo su una determinata piattaforma e che raggiunga massimo tot fps, che “questi sono i tasti da premere per fare determinate azioni” (dando per scontato che essi non siano rimappabili), ovvero tralasciando tutte le questioni tecniche, in un videogioco non esiste più nulla di oggettivo. Planare sullo sterminato e desolato mondo di BotW causerà sensazioni diverse in ogni singolo giocatore. Per me cavalcare, planare, camminare, correre, arrampicarmi nelle apocalittiche lande di Hyrule trasmette una sensazione di avventura totale, un ritorno ai giochi metaforici del “fare finta” di quando da bambini ogni cosa ed ogni luogo era un qualcosa di magico e di leggendario. Per altri è solo una tediosa camminata in un mondo “vuoto” e privo di significati.
Ma allora perché per me BotW è così bello? Perché lo è Dark Souls? E Shadow of the Colossus? Perché invece giochi come The Last of Us II non mi trasmettono nulla se non una noia indefinibile? Mentre opere sconclusionate e fallaci come Death Stranding per me sono così significative e piene di suggestioni? Per me è tutto colpa, o merito, del mio imprinting, ovvero di quelle opere di cui ho usufruito nell'infanzia. Cresciuto davanti ad uno SNES e a una televisione a tubo catodico in cui si trasmettevano anime anni ‘70 e ‘80 quasi ininterrottamente, è inevitabile che il mio orizzonte immaginativo sia quello del Giappone anni ‘80 con quei tramonti arancio bruciati e le notti viola elettrico. Ci sono altre cose che hanno influito sul mio gusto in maniera indelebile come Il Signore del Anelli con i suoi paesaggi sconfinati e brulli, orizzonti naturali e antiche e segrete rovine (sentite già l’eco della Forbidden Land?). Come non citare PKna con quella sua ironia graffiante ed un sarcasmo totalizzante, ma anche con la sua potenza da opera pop in cui l'eroe sacrifica tutto in uno slancio di puro romanticismo. Gli universi a bordo di una nave corsara su Freelancer, cercando di aggirare Soli azzurro accecante e evitando mari di asteroidi in caduta libera su carghi mercantili che si stagliano grigi in un universo riscaldato da una luce pastosa e rossa emanata da una stella morente si mescolano all'epica cavalleresca di Star Wars. L’esalazioni della Storia cercando di sconfiggete i Goti con Belisario su Age of Empires II o unificare l'Italia con i Savoia nel 1600 su Europa Universalis 2 si mischiano alla fanta-politica di Metal Gear Solid in cui un mostro, che aveva terrorizzato il me bambino per metà dell’opera, riesce a muovere il controller a distanza e a leggere dentro la mia Memory Card (“hai giocato un po’ troppo ad Ape Escape!” ansima un ammasso di Pixels), per poi scoprire che il mostro eri solo tu e che quello non era altro che un bambino come te, in fuga da mostri ancora più terrificanti.
Mi sono perso in un banale flusso di coscienza, così come mi piace perdermi in mondi alternativi, in luoghi d'altrove in cui il presente si fossilizza e l'escapismo diviene realtà. Quindi per parlare di videogiochi in modo interessante, per me, la soluzione è descrivere le sensazioni che si sono provate durante le vite alternative digitali, cercare di dare un significato ai segni che abbiamo interpretato in altrovi immaginifici. Cercate di fuggire dalle riviste videoludiche in cui la critica non è altro che un banale consiglio per gli acquisti. Si criticano videogiochi come se fossero automobili, i videogiochi sono letteratura. Fuggite dalle chiacchiere da social sui videogiochi. Fuggite da chi vi dice cosa è bello e cosa non lo è. E soprattutto fuggite da me, dalle mie opinioni, dalle mie suggestioni e dalle mie sensazioni e immergetevi in mondi fatti di pixels in cerca dell’opera che riempirà la vostra vita di significati.