Il mio metodo critico
Sei principi per una critica videoludica personale, aperta e onesta
Introduzione
Parlare di videogiochi ĆØ facile. Farlo con onestĆ , profonditĆ e indipendenza, no.
In un panorama in cui le recensioni sembrano più press release riformulate, dove il voto ĆØ spesso un compromesso tra hype e algoritmo, e dove lāapparente oggettivitĆ nasconde complicitĆ o pigrizia, io preferisco partire da unāaltra parte: da me.
Non ho la veritĆ in tasca. Non credo nellāoggettivitĆ della critica estetica. Ma proprio per questo, ho costruito un metodo: per non cadere nel āmi piace/non mi piaceā a vuoto. Per essere soggettivo con rigore. Per prendere posizione senza pretendere di avere lāultima parola.
1. Soggettiva
La mia critica non ha pretese oggettiviste. Non credo esista un metro neutrale e universale per giudicare un videogioco, cosƬ come non esiste per nessuna opera dāarte. Ogni giudizio estetico ĆØ, per sua natura, soggettivo: nasce da unāinterazione tra me e lāopera. Il mio vissuto, le mie esperienze, i miei gusti e anche le mie ossessioni entrano in gioco tanto quanto le meccaniche o la grafica del titolo analizzato.
Il videogioco ā come ogni opera estetica ā ĆØ unāopera pigra, per usare la definizione di Umberto Eco: ha bisogno di un lettore, di un interprete, per attivarsi e compiersi. Senza un giocatore, un gioco non esiste nel suo senso pieno. La mia critica parte proprio da lƬ: da ciò che il gioco ha fatto a me, nel momento in cui lāho giocato. Non ĆØ una veritĆ assoluta, ma un racconto argomentato e sincero di unāesperienza.
2. Relativista
Ogni opera va giudicata per quello che è, non per quello che si vorrebbe che fosse. La mia critica non rincorre ideali assoluti, né cerca di piegare i giochi alle aspettative del mercato o a una visione prescrittiva del medium. Un piccolo indie può essere più potente di un tripla A, un gioco sgangherato può comunicare meglio di uno formalmente perfetto.
Cerco di ascoltare lāopera, capire da dove parla, come funziona, cosa vuole essere. E poi la giudico nel suo tentativo. Questo approccio non implica relativismo vuoto o lassismo critico: significa riconoscere che ogni gioco ha unāintenzione propria, e che valutarla vuol dire prima di tutto capirla.
3. Contestuale
Un gioco non esiste nel vuoto. Ogni titolo nasce in un tempo, in un contesto culturale, in un mercato, e genera una ricezione ā nel pubblico, nella critica, nei media. La mia analisi tiene conto di tutto questo. Cerco di inserire lāopera nella storia del medium, nel dibattito attorno a certi generi, nel modo in cui ĆØ stata accolta o respinta.
Questo non significa che mi uniformi al giudizio comune. Tuttāaltro. A volte confermo lāopinione dominante, altre volte la contesto. Ma lo faccio con la consapevolezza che ogni gioco ĆØ anche un evento culturale, e che capire perchĆ© ha avuto un certo impatto (o perchĆ© non lo ha avuto) ĆØ parte integrante del lavoro critico.
4. Aperta
Seguo l'idea di Umberto Eco: ogni opera è un'opera aperta, che vive attraverso l'interpretazione. La mia critica si muove nello stesso modo: mette in relazione l'opera videoludica con altre opere, anche appartenenti ad altri media. Un gioco può dialogare con un film, un romanzo, una canzone, una filosofia. Non esistono compartimenti stagni.
Non intendo chiudere un discorso, ma aprirlo. Una buona critica ĆØ quella che accende connessioni, che spinge a guardare oltre il perimetro dell'opera, a farle domande nuove, anche attraverso paragoni, contrasti, analogie. Ogni gioco ĆØ un nodo dentro una rete: la mia analisi cerca di disegnare i fili che lo collegano al resto del mondo culturale e personale.
5. Pane al pane, vino al vino
Uso un linguaggio chiaro, accessibile, diretto. Non perdo tempo con tecnicismi inutili. Questo non vuol dire semplificare o banalizzare. Vuol dire che cerco precisione, non complicazione. Voglio che chi legge (o ascolta) capisca cosa intendo, anche se non conosce la terminologia del game design o la storia completa del medium.
La profonditĆ non sta nella nebbia concettuale, ma nella limpidezza con cui si riesce a esprimere unāidea complessa. E se una cosa si può dire bene con parole semplici, ĆØ lƬ che sta la vera forza della scrittura.
6. Indipendente
Non ho legami con publisher, sviluppatori, distributori o uffici stampa. Non ricevo key gratuite, non partecipo a eventi promozionali, non vengo pagato per parlare bene (o male) di un gioco. Questo mi consente di essere libero, onesto, diretto.
Quando amo un gioco, lo dico. Quando mi delude, lo dico. Non devo niente a nessuno, e questo mi dĆ la tranquillitĆ di poter dire quello che penso davvero.
Non sono qui per fare PR al posto degli editori. Sono qui per parlare di giochi, con onestĆ e passione.
Conclusione
Questo ĆØ il mio modo di fare critica videoludica. Non ĆØ un metodo assoluto. Non ĆØ nemmeno un manifesto. Ć una postura, una promessa, una dichiarazione dāintenti.
Credo che i videogiochi meritino analisi profonde, personali, indipendenti. Non solo voti, non solo hype, non solo checklist tecniche. Meritano di essere pensati, vissuti, raccontati. Con amore, con rabbia, con attenzione.
Se questo approccio ti parla, resta. Se non ti convince, confrontiamoci.
Perché alla fine, anche criticare i videogiochi è un atto creativo.
E vale sempre la pena farlo con sinceritĆ .