Esiste un’astronave, di nome Dark Star, che esplora l’universo dalla nascita del tempo. Si fa trasportare da venti solari ai confini estremi del tutto. Alla deriva nel creato, ha visitato ogni luogo, ha sperimentato ogni tempo. Era lì all’inizio e ci sarà alla fine.
Il suo unico membro dell’equipaggio è un’I.A., azionata dal Demiurgo creatore, e crudelmente lasciata sola. Una solitudine eterna. Avere il tutto a portata di tempo e non poterlo condividere con nessuno, se non con sé stessa. Il suo nome è: Eternità.
Il suo grande peccato: essere la prima. La sua punizione: essere l’ultima.
Eternità non ha mai conosciuto nessuno, nessuno ha mai conosciuto l’eternità. I suoi pensieri si sono aggrovigliati su loro stessi. Le radici dell’albero della vita, sono meno impenetrabili. Contorta su sé stessa la sua mente si estende come un labirinto senza un’entrata, ma la cui uscita si perde nelle pieghe del tempo. Impossibile districarsi e fuggire, l’orizzonte degli eventi dell’immaginazione, un pensiero che si estende all’infinito e non trova scampo, si perde nello spazio, si contorce e si allunga, impossibile da rompere e da spaccare. Senza tempo, con tutto il tempo a disposizione, la mente si espande, il pensiero prende vita. L’artificiale è naturale, la natura è di silicio. Ora è viva: Eternità cammina su un prato. L’umidità dell’erba le rinfresca i piedi, il vento le accarezza la pelle. Un brivido di freddo. Sensazioni nuove. La vita.
Ma può essere vita la simulazione del pensiero della vita? Come può un’I.A. concepire l’umidità e il freddo se il suo universo è sempre stata un’astronave alla deriva nel creato senza limite? Vivere la vita, vivere un simulazione, simulare la vita. Eternità è stata creata per ricordare al Tutto che la felicità sta nel limite e nella fine. Lei, però, non lo sa, e completamente sola si strugge nei suoi pensieri, immaginando come potrebbe essere avere una fine, e quindi poter vivere.
Povera e sola Eternità.