Sabbia. Caldo. Un caldo come non ne aveva mai sentito. La notte non giungeva mai. Naufrago in un deserto. Come si fa a naufragare nel deserto? Ibn non aveva memoria di come fosse arrivato lì. Arrancava su per le dune, con il vento e la sabbia che gli graffiavano la pelle, e il calore di un sole straniero e rosso che lo cuoceva. Si lasciava andare, scivolando giù per le dune, riempiendosi di sabbia, sperando di risparmiare energie. Come si fa a naufragare nel deserto?
Arrancava. I piedi affondavano nella sabbia bollente, camminare era estenuante. Ma come era arrivato lì? La mancanza del ricordo degli ultimi avvenimenti terrorizzava Ibn, gettandolo in uno stato di agitazione ancora più disperato. Il cuore batteva forte, per la fatica e per lo spavento del non ricordo. Terrorizzato cercava di andare avanti, avanzare di qualche metro era come scalare la montagna più impervia. Ma dove era? Da piccolo gli avevano raccontato di deserti magici, ne aveva letto anche nelle favole. Ma questo era alieno. Il sole era diverso da quello di casa sua. La sabbia stessa… oh la sabbia… era bianca. Un bianco innaturale, sembrava dipinta, in natura Ibn non aveva mai visto un bianco del genere. La sabbia lo terrorizzava, chissà quali montagne antiche erano state erose, e chissà di che materiale fossero composte…
Improvvisamente ricordò, da piccolo, sua nonna gli raccontava di un deserto bianco che rapiva le persone. Come era possibile che un deserto rapisse delle persone non veniva spigato nel racconto. Semplicemente le persone si ritrovavano lì: perse ed estranee.
Era forse diventato uno di quei personaggi delle favole? Nessuno riemergeva mai dal bianco deserto, ma se ne esistevano racconti, forse, qualcuno era sopravvissuto.
Ibn continuava ad arrancare, inciampando nei suoi stessi passi. Era sempre più debole, le forze stavano per cedere. Si sforzava di camminare aspettando la notte per potersi riposare, aveva paura che, se si fosse fermato, sarebbe morto bruciato. Ma la notte non arrivava mai. Il sole era immobile, fissamente lo osservava come un sinistro mostro. Un Jinn uscito da una favola che rideva delle disgrazie degli uomini. Il sole era fisso, terrificantemente immobile. Tutto sembrava fermo, il vento aveva sempre il solito afflato e la solita direzione, non cambiava mai. Le stesse dune si ripetevano all’infinito. Ibn poteva giurare, che se avesse controllato i granelli di sabbia, quelli sarebbero risultati tutti identici uno all’altro. Tutto immobile ed eguale. Il paesaggio non era naturale, sembrava un dipinto, una zona artificiale modellata da un architetto che amava la simmetria. Il tempo stesso era fermo. Se solo Ibn avesse avuto un orologio avrebbe potuto verificare questa sua ipotesi. Se fosse finito in un mondo senza tempo, sarebbe potuto morire? O avrebbe vissuto in eterno vagando in un deserto? Essere prigioniero dell’eternità lo terrorizzava, meglio concedersi alle braccia cullanti della morte che rimanere naufraghi in quel luogo, in cui spazio e tempo non avevano senso.
Ibn scivolò giù da una duna, esausto. Non aveva più forze. Rannicchiato su se stesso cominciò a pregare gli dei che venissero a salvarlo. Ma le sue preghiere sembravano inascoltate. Gli dei sono sordi alle richieste dell’uomo. Abbandonati su una terra, siamo soli, estranei anche a noi stessi. Non c’è speranza. Solo la morte può ascoltarci, solo la Morte si prende cura di noi e ci abbraccia alla fine del nostro percorso. Allora Ibn chiese aiuto alla Morte di liberarlo da quel mondo orribile…
Improvvisamente Ibn si risvegliò, era nel suo letto. Una leggera brezza entrava dalla finestra e piacevolmente rinfrescava la stanza. Ibn sorrise, era solo un incubo. Si affacciò alla finestra e vide la sua città immersa nel sonno, in lontananza il deserto, ma un deserto familiare che lo rincuorava e lo faceva sentire a casa. Sollevato si rimise a letto, l’orologio ticchettava, il tempo non era ancora morto.